Edilizia residenziale agevolata e convenzionata (Cass. SS.UU., 16.9.2015 n. 18135)

Introduzione

La questione affrontata dalla sentenza in esame, ovvero se il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile costruito in regime di edilizia agevolata e convenzionata valga unicamente per il Costruttore (parte della Convenzione stipulata con il Comune) ovvero si trasmetta anche ai successivi acquirenti, è di particolare rilevanza tanto è vero che la Seconda Sezione della Corte di Cassazione, cui era stato assegnato il ricorso entro il quale detta questione è stata sollevata, ha ritenuto opportuno rimetterla al Primo Presidente che ha provveduto, a sua volta, ad assegnarla alle Sezione Unite.

A queste ultime, infatti, la legge attribuisce la cd. funzione nomofilattica, ovvero, quella di garantire “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge” nonché “l’unità del diritto oggettivo nazionale” (v. art. 65 l. n. 12/1941, recante le disposizioni in materia di Ordinamento giudiziario).

Fattispecie

La fattispecie presa in esame dalla Corte è la seguente.

La promittente venditrice di un appartamento e relative pertinenze (cantina e posto auto), stanca di aspettare la stipula dell’atto definitivo di vendita, cita in giudizio la sua promissaria acquirente al fine di ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto preliminare con ritenzione, da parte sua, della caparra ricevuta.

La promissaria acquirente, nel costituirsi in giudizio, rileva però che l’immobile, costruito nell’ambito di un programma di edilizia residenziale agevolata e convenzionata su terreno concesso dal Comune di Roma in diritto di superficie al Costruttore, è necessariamente assoggettato al prezzo massimo di cessione previsto dalla legge e, di conseguenza, chiede in via riconvenzionale l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre (ex art. 2932 c.c.), previa riduzione del corrispettivo previsto dalle parti.

Dopo alterne vicende nei primi due gradi di giudizio (il Tribunale ha accolto infatti la domanda di risoluzione proposta dalla promittente alienante, mentre la Corte d’Appello quella di esecuzione dell’obbligo di contrarre con determinazione però di un prezzo non ritenuto congruo dalla promissaria acquirente), la causa è arrivata in Cassazione dove, come anticipato, la Sezione seconda ha ritenuto necessario rimettere la questione al vaglio delle Sezioni Unite.

Diritto

Per comprendere appieno le motivazioni utilizzate dalla Suprema Corte per accogliere le ragioni della promissaria acquirente, è utile premettere una breve sintesi del quadro normativo di riferimento.

I piani per l’edilizia economica e popolare previsti dalla l. n. 167/62 e successive modifiche (cd. P.E.E.P.), altrimenti noti come piani di zona o piani 167, costituiscono “gli strumenti urbanistici attraverso i quali si realizzano i programmi per l’edilizia economica e popolare” (v. Cons. Stato, IV, 14.1.2003 n. 1545).

Gli stessi, “nel pensiero del legislatore del 1962, assolvono alla fondamentale funzione, da un lato, di dare ai Comuni la possibilità di acquistare attraverso l’esproprio aree da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico-popolare, dall’altro di inquadrare gli interventi in un razionale ed organico disegno urbanistico, allo scopo soprattutto di evitare la ghettizzazione delle famiglie non abbienti in quartieri periferici privi di servizi e non collegati al resto delle città” (id.)

In coerenza con la finalità perseguita dai piani in esame, gli interventi edilizi realizzati al loro interno sono assoggettati alla preventiva stipula fra il Comune ed il soggetto assegnatario dell’area (società cooperativa o impresa edile) di una Convenzione che ne disciplina tutti i contenuti, ivi compreso il prezzo di cessione (v. art. 35 l. n. 865/71).

Partendo da questo presupposto, la Suprema Corte, dopo un rapido excursus degli opposti orientamenti formatisi in materia, ha respinto la tesi sostenuta dalla promittente alienante della libera commerciabilità a prezzo di mercato degli alloggi costruiti in tale regime una volta che sia stata ottenuta l’autorizzazione regionale alla relativa alienazione.

Ha osservato infatti la Corte che per gli alloggi in esame, il vincolo della determinazione del prezzo discende direttamente dalla legge (v. art. 35 l. n. 865 cit.) con la conseguenza che lo stesso può essere rimosso solo alle condizioni espressamente indicate dall’art. 31 co. 49 bis l. n. 448/98, ovvero:

1) decorso di almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento;

2) richiesta del singolo proprietario;

3) determinazione della percentuale del corrispettivo, calcolata secondo parametri legali da parte del Comune;

4) stipula di apposita Convenzione in forma pubblica, soggetta a trascrizione.

In mancanza della predetta Convenzione, pertanto, il vincolo del prezzo non solo non decade al momento in cui venga autorizzata l’alienazione dell’alloggio, ma al contrario “segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita”.

Ne consegue che ove, come nella fattispecie considerata dalla Suprema Corte, non sia stato rimosso il menzionato vincolo ed il corrispettivo sia stato liberamente concordato dalle parti, lo stesso deve essere automaticamente sostituito con quello di legge in virtù del combinato disposto degli artt. 1339 c.c. (disciplinante l’inserzione automatica di clausole imposte dalla legge) e 1419 c.c. (che prevede la validità del contratto le cui clausole siano sostituite di diritto da norme imperative).

La Sentenza in esame si evidenzia per la lucidità ed immediatezza dell’iter logico seguito oltre che per l’assoluta coerenza con la ratio sottostante la normativa prevista per la realizzazione degli interventi edilizi economici e popolari.

Come chiarisce espressamente la stessa Corte, infatti, la normativa in esame non può essere finalizzata a favorire “successive operazioni speculative di rivendita a prezzo di mercato” per cui “la soluzione adottata appare altresì conforme, sotto il profilo teleologico, ad una politica del diritto volta a garantire il diritto alla casa, facilitando l’acquisizione di alloggi a prezzi contenuti (grazie al concorso del contributo pubblico) ai ceti meno abbienti”.

La stessa, pertanto, lascia ben sperare in merito alla possibilità di garantire adeguata tutela agli acquirenti di alloggi realizzati nell’ambito dei programmi in esame nelle ipotesi in cui il relativo corrispettivo sia più elevato rispetto a quanto consentito dalle vigenti disposizioni.

(Cass. SS.UU., 16.9.2015 n. 18135)

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