In attuazione dell’intesa raggiunta durante lo scorso mese di aprile dalla Conferenza Stato-Regioni-Autonomie Locali in merito al cd. “Piano Casa”, la Regione Lazio – con la legge n. 21 dell’11.8.2009[1] – ha approvato “Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per l’edilizia residenziale sociale”.
Il testo normativo, come chiaramente si ricava dalla sua intestazione, contiene disposizioni che perseguono principalmente due finalità:
- predisporre misure straordinarie per il settore edilizio anche al fine di contrastare la crisi economica, favorendo al contempo l’adeguamento alla normativa antisismica, il miglioramento della qualità architettonica e la sostenibilità energetico-ambientale, secondo le tecniche, le disposizioni ed i principi della cd. bioedilizia[2], del patrimonio edilizio esistente (v. art. 1 lett. “a”);
- incrementare e sostenere l’offerta di edilizia residenziale sovvenzionata e sociale (cd. housing sociale; v. art. 1, lett. “b”).
La Regione Lazio coglie, poi, l’occasione per semplificare alcune procedure in materia urbanistica. Si vedano in particolare le modifiche apportante alla l. reg. n. 36/87 (recante, fra l’altro, disposizioni in materia di approvazione dei piani attuativi), alla l. reg. n. 22/97 (in materia, fra l’altro, di programmi integrati per la riqualificazione urbanistico-edilizia ed ambientale), alla l. reg. n. 38/99 (legge generale sul governo del territorio, rimasta in realtà in gran parte inattuata) nonché alla recentissima l. n. 13/09 (in materia di recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti[3]; v. art. 1, lett. “d”).
Tralasciando le ulteriori modifiche apportate alla precedente disciplina, in questo numero verranno affrontate le novità introdotte con gli artt. 2-11 relativi al rilancio del settore edilizio (contenuti nel Capo II della legge in esame).
Nel prossimo quelle relative all’housing sociale (raccolte nel Capo III, artt. 12-22).
Come accennato, il Capo II della legge in esame contiene misure straordinarie prevalentemente finalizzate a rilanciare un settore, quello edilizio, pesantemente colpito dalla crisi economica.
In tale prospettiva, la novella in commento prevede la possibilità di realizzare – in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali vigenti – interventi di:
- ampliamento (v. art. 3);
- sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione (v. art. 4);
- recupero degli edifici esistenti (v. art. 5).
Tali interventi non sono cumulabili con quelli previsti da altre disposizioni (per quel che concerne le prime due ipotesi; v. art. 3 co. 7 e art. 4 co. 5), né fra loro (v. art. 5 co. 4).
Prima di esaminare nel dettaglio le singole tipologie di intervento previste dalla legge, sarà utile definirne l’ambito di applicazione in linea generale.
In proposito, l’art. 2. co. 1 precisa che possono beneficiare delle disposizioni in esame gli edifici per i quali:
- alla data di entrata in vigore della l. n. 21/09 (5.9.2009), sia stata presentata al Comune la dichiarazione di ultimazione dei lavori, come previsto dal d.lgs. n. 380/01 cd. T.U. Edilizia, ovvero che siano stati comunque ultimati in base alla normativa previgente;
- entro due anni dalla scadenza del termine di 90 gg. dall’entrata in vigore della legge (v. combinato disposto artt. 2 co. 1, 6 co. 4 e 2 co. 3), sia stato rilasciato il titolo edilizio abilitativo in sanatoria.
Numerosi, invece, i casi di esclusione che riguardano anzitutto gli edifici abusivi (v. art. 2 co. 1) e poi gli immobili situati in:
- aree assoggettate al vincolo paesaggistico ai sensi della seconda parte del d.lgs. n. 42/04, c.d. Codice Urbani (id.);
- zone A di piano regolatore[4] (in assenza di tale previsione, a tali zone sono equiparati i tessuti storici tutelati dagli strumenti urbanistici o individuati nei piani paesaggistici; v. art. 2 co. 1 lett. “a”);
- zone E di piano regolatore, ossia le zone agricole, limitatamente ai casali e complessi rurali realizzati anteriormente al 1930 e registrati in appositi censimenti da parte dei Comuni, anche se non vincolati (id., lett. “b”);
- aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta (id., lett. “c”);
- aree naturali protette (id., lett. “d”);
- aree ricomprese nelle fasce di rispetto dei territori costieri e contermini ai laghi[5] nonché nelle fasce di rispetto delle acque interne (id., lett. “e”);
- zone di rischio individuate nei piani di bacino (id., lett. “f”);
- aree con destinazioni urbanistiche relative ad aspetti strategici ovvero al sistema della mobilità, delle infrastrutture e dei servizi pubblici generali (id., lett. “g”);
- aree ricomprese nelle fasce di rispetto delle strade statali, ferroviarie e autostradali (id., lett. “g”).
Altri casi di esclusione o di limitazione all’applicabilità della disciplina in esame potranno, poi, essere individuati dai singoli Comuni entro 90 gg. dalla data di entrata in vigore della l. n. 21/90 (v. art. 2 co. 3). Lo strumento a tal fine indicato è quello della delibera consigliare.
Va detto che se appare apprezzabile l’intento della novella di conciliare l’intento di salvaguardare aree di pregio con quello di incentivare il settore edilizio, non sempre è agevole coglierne il portato precettivo anche in virtù delle numerosi eccezioni alle eccezioni nello stesso ravvisabili.
Più in generale, sin dalle prime battute il testo non appare comunque di facile lettura sia perché non è strutturato in modo chiaro (si veda a titolo esemplificativo il primo comma dell’art. 2 che riporta congiuntamente i casi di applicabilità e di non applicabilità delle nuove disposizioni), sia per la tecnica adottata nella determinazione dei termini attraverso l’utilizzo di ripetuti rinvii che costringono l’interprete a calcoli articolati.
Così, per avviare gli interventi in esame occorrerà prima aspettare il decorso del menzionato termine di 90 gg. entro il quale i Comuni potranno escluderne o limitarne l’applicazione e, poi, scaduto il predetto termine, sarà possibile presentare la D.I.A. o richiedere il permesso di costruire entro i successivi due anni (v. art. 6 co. 4).
Curiosa appare, infine, la previsione secondo cui l’esecuzione dei lavori relativi agli interventi in esame “deve essere effettuata da imprese di costruzione in possesso dei requisiti previsti dalla legge” (v. art. 6 co. 5) sia per la sua genericità (“requisiti previsti dalla legge”), sia per l’assenza di qualsivoglia misura che possa sanzionarne l’eventuale violazione, circostanza quest’ultima che indubbiamente ne indebolisce la portata precettiva.
Passando ad un esame più specifico degli interventi previsti, va premesso che gli stessi sono consentiti previa denuncia di inizio attività (D.I.A. ex art. 23 T.U. Ed.) ovvero, se di volumetria superiore a mc. 3.000, previo ottenimento del permesso di costruire (ex art. 20 T.U. Ed.) secondo le specifiche disposizioni dell’art. 6.
a) La prima possibilità presa in considerazione dalla legge è quella dell’ampliamento degli edifici esistenti (v. 3).
Possono beneficiare dell’intervento sia gli edifici residenziali, uni-plurifamigliari, di volumetria non superiore ai 1.000 mc. sia quelli non residenziali per l’artigianato, la piccola industria e gli esercizi di vicinato[6] aventi una superficie non superiore a 1.000 mq..
Per i primi, l’ampliamento consentito é del 20% (applicabile, in base al primo comma, alla volumetria esistente o alla superficie utile) per un incremento complessivo massimo di 200 mc. ovvero 62,5 mq. (v. lett. “a”).
Per i secondi, invece, la percentuale di ampliamento prevista è del 10% (applicabile, in base al primo comma, alla volumetria esistente o alla superficie utile) e non sono previsti limiti massimi di incremento. In tal caso, è imposto invece il vincolo di mantenere la destinazione d’uso dell’immobile per dieci anni e gli interventi devono rispettare le previsioni ivi contenute in materia di risparmio energetico e tutela ambientale (v. lett. “b”).
Per gli ampliamenti relativi a singole unità immobiliari, i predetti limiti si applicano cumulativamente (v. co. 7).
Specifiche modalità tecniche per la realizzazione dell’ampliamento sono poi previste dai co. 2, 3 e 4.
La predisposizione del fascicolo del fabbricato[7] e l’esistenza, ovvero l’adeguamento, delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria nonché dei parcheggi costituiscono condizioni per la realizzabilità dell’intervento (v. co. 5), fatte salve per le opere di urbanizzazione secondaria le specifiche deroghe previste dal successivo co. 6.
Non è chiaro, invece, il vincolo di destinazione quinquennale previsto per gli “edifici di cui al comma 1” dal co. 8, considerato il menzionato vincolo di destinazione decennale già introdotto per gli edifici non residenziali (v. co. 1 lett. “b”).
I Comuni potranno ridurre del 30% l’importo degli oneri concessori se l’intervento riguarda la prima casa (v. co. 9).
b) Il secondo tipo di intervento previsto è quello di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione (v. 4).
Lo stesso è applicabile agli edifici aventi destinazione residenziale per almeno il 75% e consente di incrementare il 35% della cubatura o della superficie utile esistente (v. co. 1). Tale percentuale può raggiungere il 40% qualora il soggetto proponente l’intervento utilizzi la procedura del concorso di progettazione, avvalendosi poi del progetto vincitore (v. co. 7).
L’altezza del nuovo edificio non dovrà superare quella degli edifici contermini (id.).
Specifiche modalità tecniche sono previste dai co. 2 e 3.
Anche in questo caso, l’intervento è subordinato all’esistenza, ovvero all’adeguamento, delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria nonché dei parcheggi ed alla predisposizione del fascicolo del fabbricato (v. co. 4, lett. “a” e “b”).
Ulteriore condizione richiesta è la piantumazione di essenze arboree e vegetazionali che interessino almeno il 25% dell’area di pertinenza dell’intervento di sostituzione edilizia (id., lett. “c”).
Il 25% delle unità immobiliari aggiuntive deve essere concesso in locazione a canone concordato ai sensi dell’art. 2 co. 3 l. n. 431/98[8] nei Comuni beneficiari del fondo per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione (v. 6).
Anche nell’ipotesi considerata i Comuni potranno ridurre del 30% l’importo degli oneri concessori se l’intervento riguarda la prima casa (v. co. 8).
c) Sono infine previsti interventi di recupero degli edifici esistenti (v. 5).
Il recupero potrà interessare:
– a fini residenziali, i volumi tecnici accessori di edifici aventi destinazione residenziale per almeno il 75% e con volumetria non superiore a 1.000 mc.; in tal caso è previsto un limite pari al 20% del volume o della superficie fino ad un massimo di 200 mc. o 62,5 mq. (v. lett.”a”);
– parti accessorie di edifici aventi destinazione prevalentemente residenziale ubicati in zona agricola di piano regolatore; per beneficiare di tale disposizione è necessaria la qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo da parte del richiedente (v. lett.”b”).
Anche in questo caso l’esistenza, ovvero l’adeguamento, delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria costituisce condizione per la realizzabilità dell’intervento (v. co. 3).
A chiusura del Capo II, la novella prevede poi la possibilità per i Comuni di adottare programmi integrati ai sensi della l. reg. Lazio n. 22/97, sulla base di iniziative pubbliche o private, allo scopo di:
riqualificare e recuperare i territori caratterizzati dalla presenza di elevate valenze naturalistiche, ambientali e culturali (cd. programma integrato di ripristino ambientale; v. art. 7);
qualificare gli ambiti urbani e le periferie con presenza di funzioni eteregonee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché edifici isolati a destinazione industriale dismessi, parzialmente utilizzati o degradati (cd. programma integrato per il riordino urbano e delle periferie; v. art. 8).
In proposito, di particolare interesse la possibilità – attraverso lo strumento dei programmi integrati di ripristino ambientale – di demolire porzioni di tessuto edilizio o singoli edifici (legittimamente realizzati) in aree di pregio ambientale e paesaggistico, con conseguente possibilità per i relativi proprietari, previa cessione gratuita al Comune dell’area oggetto di ripristino, di traslare le relative volumetrie in altre aree esterne a quelle vincolate (v. art. 7 co. 1 e 2) che costituisce, secondo le parole utilizzate dall’Assessore regionale alla Casa, Mario Di Carlo, “un modo per rimediare agli scempi”[9].
E’ altresì consentito incrementare la cubatura fino ad un massimo del 50%, che raggiunge il 60% nell’ambito dei Comuni del litorale marittimo purché la nuova destinazione sia turistico-ricettiva ai sensi della l. reg. Lazio n. 13/07[10] (id., co. 2 lett. “c”).
Nell’ambito dei programmi per le periferie, invece, è possibile prevedere interventi di sostituzione edilizia, modifiche di destinazioni d’uso di aree e di immobili, con un incremento fino ad un massimo del 40% della volumetria o della superficie demolita a condizione che la ristrutturazione urbanistica preveda:
- “una dotazione straordinaria di standards e di opere di urbanizzazione primaria”;
- una quota destinata all’edilizia residenziale sociale (v. art. 8 co. 3).
Alla Regione spetta il compito di promuovere i programmi citati (v. art. 9 co. 1) nonché contribuire al relativo finanziamento (v. co. 4).
(“il Corriere de iure publico” n. 10 – ottobre 2009)
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[1] Pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 142 al Bollettino Ufficiale del Lazio n. 31 del 21.8.2009.
[2] In materia, si ricorda la precedente legge reg. Lazio n. 6/08 (recante disposizioni in materia di architettura sostenibile e bioedilizia).
[3] Per un approfondimento dell’argomento, si veda “Il Corriere De Iure Pubblico” n. 7-8/09, pagg. 60 e ss..
[4] Comprendenti, in base al D.M. 1444/68, i centri storici e le aree circostanti con caratteristiche analoghe.
[5] Rispettivamente previste dagli artt. 5 co. 1 e 6 co. 1 l. reg. Lazio n. 24/98 (recante disposizioni in materia di “Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposte a vincoli paesistico”).
[6] Come definiti dall’art. 24 co. 1 lett. “a”, n. 1 l. reg. Lazio n. 33/99.
[7] In proposito, si veda l. reg. Lazio n. 31/02 e successivo regolamento attuativo n. 6 del 14.4.2005.
[8] Recante disposizioni in materia di locazioni e di rilascio degli immobili adibiti a ad uso abitativo.
[9] Si veda l’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica del 21.6.2009 (Cronaca di Roma, pag. IV, articolo di Alessandra Paolini).
[10] Recante l’Organizzazione del sistema turistico laziale.