La nuova legge regionale del Lazio in materia di “rigenerazione urbana” e di “recupero edilizio” – MODIFICHE LEGISLAZIONE PREVIGENTE (ART. 10)

La Regione Lazio, con legge n. 7 del 18.7.2017, entrata in vigore il 19.7.2017, ha approvato disposizioni in materia di “rigenerazione urbanae direcupero edilizio” in attuazione di quanto previsto dall’art. 5 co. 9 d.l. n. 70/2011 (conv. in l. 106/11)[1], a sua volta, recante disposizioni in materia di “Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia”. Sul punto, si rinvia agli specifici, precedenti articoli già pubblicati su questo sito.

Con la stessa legge, peraltro, la Regione ha modificato la previgente disciplina in materia urbanistico-edilizia (v. art. 10).

Fra le modifiche apportate, si segnalano in particolare quelle interessanti le seguenti leggi regionali:

  • n. 36/87 (“Norme in materia di attività urbanistico-edilizia e snellimento delle procedure”);
  • n. 38/99 (recante disposizioni in materia di governo del territorio);
  • n. 13/2009 (recante disposizioni in materia di recupero a fini abitativi e turistico-ricettivi dei sottotetti esistenti);

Con il presente articolo si intende analizzare tali modifiche premettendo sin d’ora che la deprecabile tecnica utilizzata dal Legislatore (sia nazionale che regionale) di suddivisione degli articoli in un numero pressoché illimitato di sub-articoli (1 bis, 1 ter, etc.…) nonché di commi e sotto commi non favorisce di certo la chiarezza del testo e la conseguente comprensione del dettato normativo.

Le modifiche più incisive introdotte dalla legge in esame riguardano la precedente legge regionale n. 36/87 recante “Norme in materia di attività urbanistico-edilizia e snellimento delle procedure.Va premesso che ai sensi dell’art. 4 l. n. 36 cit. (oggi integralmente sostituito dal co. 5 dell’art. 10 della legge in esame), i piani attuativi ed i programmi urbanistici comunque denominati in Variante allo strumento urbanistico generale ovvero le relative modifiche, adottati dal Consiglio Comunale, dopo la fase delle osservazioni-controdeduzioni, sono di norma approvati dalla Giunta regionale (v. co. 1) che vi provvede previo parere del “settore tecnico della pianificazione comunale dell’assessorato regionale competente in materia di urbanistica” (v. co. 2).

La delibera regionale deve intervenire entro 90 gg. dalla ricezione dei relativi atti, in caso contrario, il piano (o la relativa Variante) si intendono approvati per silenzio-assenso (id.).

Rispetto al testo previgente si segnala una semplificazione linguistica (attraverso l’eliminazione dell’inutile rinvio all’art. 1 per l’individuazione dei Piani interessati) e, soprattutto, l’inclusione dei piani di lottizzazione (non essendo più presente nel testo “con esclusione dei piani di lottizzazione”).

Altra novità è la previsione, al comma 4, di una successiva delibera di Giunta comunale che provveda, ove necessario, a disciplinare la successiva fase attuativa del Piano (autorizzazione alla cessione di aree da destinare a standard/relativi corrispettivi se dovuti/individuazione opere di urbanizzazione primaria e secondaria/approvazione dei relativi progetti/individuazione utilizzo costo di costruzione ed eventuali contributi straordinari/autorizzazione stipula Convenzione).

Tale modifica generalizza una previsione (quanto meno in materia di individuazione delle opere di urbanizzazione da realizzare) già contenuta nel cd. Piano Casa[2] e, di fatto, sottrae le relative competenze ai Dirigenti dei vari settori interessati.

L’attuale comma 5 riconferma, infine, la specifica Variante agli strumenti urbanistici comunali destinata ad individuare le aree da destinare alle attività produttive fra le quali, ai sensi dell’art. 1 co. 1 lett. “i” D.P.R. n. 160/2010[3], sono incluse le attività commerciali nonché le attività agricole e quelle turistico-ricettive.

Quanto sopra non si applica, invece, ove le modifiche apportate allo strumento urbanistico generale dai piani attuativi e dai programmi urbanistici comunque denominati rientrino nelle ipotesi previste dall’art. 1 l. n. 36 cit. (oggi modificato dal comma 1 dell’art. 10 della legge in esame).

Come già previsto dalle norme previgenti, nelle predette ipotesi infatti i piani attuativi non sono sottoposti ad approvazione regionale perché, in sostanza, le Varianti negli stessi previste sono ritenute di scarsa rilevanza. Gli stessi, di conseguenza, sono approvati dal Comune, a seconda della tipologia della modifica apportata al piano regolatore con delibera del Consiglio (v. co. 1 lett. “b”, “c” e “d”) o della Giunta (v. co. 1 lett. “e” e “f”), previo invio alla Regione che, entro 30 gg. dal relativo ricevimento, può formulare eventuali osservazioni sulla rispondenza alle norme previste dalla l. n. 36 cit. (v. co. 2).

Le modifiche apportate all’art. 1 dalla legge in esame:

– non incidono sulle ipotesi di Variante agli strumenti urbanistici sottratte all’approvazione regionale elencate dal co. 1, fatta eccezione per quella prevista dalla lett. “b”, ora estesa ad ogni caso di adeguamento dello strumento urbanistico a “normativa sovraordinata” (nel testo previgente: “limiti e rapporti fissati dal D.M. 2 aprile 196, n. 1444”);

–  introducono il termine di 90 gg. (prorogabile al massimo per ulteriori 90 gg.) entro il quale il Comune deve controdedurre alle eventuali osservazioni regionali e, deve ritenersi alla luce del combinato disposto della disposizione in esame con la frase antecedente, approvare il Piano o la sua Variante; la disposizione non brilla per chiarezza considerato che non individua il dies a quo per la decorrenza del termine e rende incerta l’applicabilità del termine ove non ci siano osservazioni regionali (v. co. 3);

–  ampliano il contenuto della delibera comunale di approvazione dei Piani o relative Varianti con specifico riferimento, per le ipotesi previste alle lettere “e” ed “f” del co.1, alla contestuale autorizzazione alla cessione di aree da destinare a standard, individuazione dei relativi corrispettivi se dovuti, individuazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, approvazione dei relativi progetti, individuazione della modalità di utilizzo del costo di costruzione e degli eventuali contributi straordinari, autorizzazione alla stipula della Convenzione (id.).

Secondo quanto già previsto dalla normativa previgente (v. art. 1 bis l. n. 36 cit., oggi modificato dal comma 2 dell’art. 10 della legge in esame), i piani attuativi ed i programmi urbanistici comunque denominati sono, invece, approvati con delibera di Giunta comunale ove risultino conformi allo strumento urbanistico generale.

Le modifiche oggi apportate all’art. 1 bis:

– introducono il termine di 60 gg., decorrenti dalla ricezione degli atti da parte del Comune, entro il quale la Regione deve verificare la conformità del piano alla l. n. 36 cit., decorso inutilmente il quale la verifica si intende favorevolmente effettuata;

– modificano le lett. “f”, “g” ed “h” del comma 2 (che, nel complesso, prevede ipotesi di variazioni ai piani non costituenti Varianti agli stessi da approvare, quindi, ai sensi del successivo co. 3, con determina dell’organo comunale abilitato al rilascio del titolo edilizio);

– introducono il co. 3 bis che estende anche alle ipotesi di variazione dei piani già approvati la disciplina prevista dal comma 1 (e quindi la competenza della Giunta comunale per la relativa approvazione) se le stesse, conformi allo strumento urbanistico generale, non rientrano nelle specifiche ipotesi elencate dal comma 2.

Anche nell’ipotesi in esame il contenuto della delibera comunale di approvazione dei Piani o relative Varianti devono contenere la contestuale autorizzazione alla cessione di aree da destinare a standard, l’individuazione dei relativi corrispettivi se dovuti, etc. … (v. co. 1).

Il comma 3 dell’art. 10 della legge in esame modifica poi l’art. 1 ter l. n. 36 cit. disciplinante, invece, il permesso di costruire convenzionato (a sua volta, introdotto dall’art. 28 bis D.p.r. n. 380/01[4], cd. TU Edilizio).

Attraverso l’aggiunta del comma 2 bis, è oggi prevista la possibilità di realizzare con il permesso di costruire convenzionato:

– l’attuazione parziale degli strumenti urbanistici primari (PRG) alle condizioni ivi indicate (“sia garantita la fruibilità e la funzionalità degli edifici realizzati nonché sia garantita la dotazione degli standard urbanistici di cui al D.M. n. 1444/1968 in misura proporzionale alle previsioni edificatorie attivate);

– la realizzazione di interventi per la rigenerazione urbana ed il recupero edilizio degli edifici ai sensi della relativa normativa regionale.

Il comma 4 dell’art. 10 della legge in esame introduce, infine, l’art. 1 quater l. n. 36 cit. che consente la possibilità di utilizzare il permesso di costruire in deroga (previsto dall’art. 14 D.p.r. n. 380/201, cd. T.U. Ed.[5]) per gli interventi di ristrutturazione edilizia ed il recupero degli edifici esistenti, fatta eccezione per i manufatti aventi destinazione urbanistica agricola.

I commi 6 e 7 dell’art. 10 della legge in esame modificano, poi, la legge regionale disciplinante il governo del territorio (n. 38/99), introducendo il Piano agricolo regionale, cd. P.A.R..

Detto piano dovrà disciplinare le zone di piano regolatore aventi destinazione agricola in conformità ai criteri ivi indicati (v. art. 52[6] integralmente sostituito).

I Comuni, nella redazione degli strumenti urbanistici, dovranno utilizzare i relativi contenuti ovvero, qualora il menzionato piano non sia stato ancora approvato, i criteri indicati dal co. 2 del precedente art. 52 (v. il co. 1 dell’art. 52 bis introdotto dalla legge in esame).

La modifica in commento appare piuttosto discutibile anzitutto perché la previsione in esame non assegna alcun termine alla Regione per l’approvazione del nuovo piano agricolo, poi perché il rinvio – in sede di redazione degli strumenti urbanistici comunali primari – ai criteri contenuti nel co. 2 dell’art. 52 (essenzialmente finalizzati a consentire, da parte della Regione, l’analisi del territorio dal punto di vista della sua utilizzazione agricola) mal si concilia con le finalità più specificamente prescrittive del piano regolatore.

Ulteriori modifiche riguardano, infine, le aree colpite dal sisma (v. co. 7 dell’art. 10 legge in esame).

In tema di recupero, a fini abitativi e turistico-ricettivi, dei sottotetti il comma 8 dell’art. 10 della legge in esame sposta al 1.6.2017 il termine entro il quale gli stessi devono essere stati ultimati ai sensi dell’articolo 31 della l. n. 47/85 (recante disposizioni in materia di “di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie”[7]), sostituendo così la precedente data del 31.12.2013.

 

(Gennaio 2018)

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[1]Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, le Regioni approvano entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (ndr. 13.7.2011) specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano:

  • il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale;
  • la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse;
  • l’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
  • le modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti”.

[2] V. art. 6 co. 2 ter e 2 quater l. reg. Lazio n 21/09.

[3] Recante il “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”.

[4]Qualora le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato.

La convenzione, approvata con delibera del consiglio comunale, salva diversa previsione regionale, specifica gli obblighi, funzionali al soddisfacimento di un interesse pubblico, che il soggetto attuatore si assume ai fini di poter conseguire il rilascio del titolo edilizio, il quale resta la fonte di regolamento degli interessi.

Sono, in particolare, soggetti alla stipula di convenzione:

  • la cessione di aree anche al fine dell’utilizzo di diritti edificatori;
  • la realizzazione di opere di urbanizzazione fermo restando quanto previsto dall’articolo 32, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
  • le caratteristiche morfologiche degli interventi;
  • la realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale.

La convenzione può prevedere modalità di attuazione per stralci funzionali, cui si collegano gli oneri e le opere di urbanizzazione da eseguire e le relative garanzie.

Il termine di validità del permesso di costruire convenzionato può essere modulato in relazione agli stralci funzionali previsti dalla convenzione.

Il procedimento di formazione del permesso di costruire convenzionato è quello previsto dal Capo II del Titolo II della presente parte. Alla convenzione si applica altresì la disciplina dell’articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

[5] “Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia.

Per gli interventi di ristrutturazione edilizia, attuati anche in aree industriali dismesse, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d’uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico, a condizione che il mutamento di destinazione d’uso non comporti un aumento della superficie coperta prima dell’intervento di ristrutturazione, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall’articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni.

Dell’avvio del procedimento viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché, nei casi di cui al comma 1-bis, le destinazioni d’uso, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444”.

 

[6]Il Piano agricolo regionale (PAR) disciplina le zone omogenee E di cui all’articolo 2 del D.M. n. 1444/1968 del Ministero dei lavori pubblici e rappresenta il piano regionale di settore ai sensi dell’articolo 12.

IL PAR rileva ed analizza le caratteristiche fisiche e climatiche del territorio agricolo intese come aree a destinazione, vocazione, potenzialità e conduzione agricola; analizza le potenzialità produttive agricole e le relative infrastrutture di settore, mediante l’uso della carta agro-pedologica e di uso dei suoli e delle risorse idriche; individua l’uso attuale delle superfici agricole, lo stato della frammentazione fondiaria, i livelli di urbanizzazione e di antropizzazione di carattere urbanistico-edilizio; recepisce eventuali programmazioni e regolamentazioni di settore che già disciplinano l’uso del territorio agricolo per effetto di norme regionali, statali e dell’Unione europea.

Sulla base delle rilevazioni e delle analisi di cui al comma 2 il PAR:

  • individua le aree caratterizzate da vocazione agricola prevalente, comprese quelle temporaneamente non utilizzate per le attività rurali, classificandole in pluralità omogenee per “ambiti rurali”;
  • descrive le caratteristiche tecniche, economiche e produttive delle aree di cui alla lettera a);
  • definisce le principali linee di sviluppo delle attività rurali alle quali tutte le programmazioni di settore dovranno conformarsi;
  • definisce le linee programmatiche generali per la ricomposizione fondiaria;
  • definisce per ciascun ambito rurale la dimensione del lotto minimo e dell’unità minima aziendale intesa come la superficie minima necessaria all’azienda agricola per lo svolgimento delle attività rurali. Il dimensionamento di tale superficie deve essere correlata al relativo fabbisogno di manodopera per la produzione agricola e ai livelli reddituali attesi. L’unità minima aziendale può essere costituita da uno o più corpi fondiari a condizione che almeno uno di essi abbia una superficie superiore a 10 mila mq.

Nel caso in cui le aree siano interessate da beni naturali e paesaggistici e da aree naturali protette, la pianificazione del settore agricolo di cui al presente articolo deve essere elaborata nel rispetto della legislazione regionale di settore vigente.

La pianificazione agricola attuata dal PAR rappresenta la base conoscitiva di riferimento nella formulazione degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale della Regione”.

 

[7]Ai fini delle disposizioni del comma precedente, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”.

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