Accade di frequente che le aree ricadenti nei comprensori soggetti a Convenzione siano assoggettate alla disciplina del cd. comparto edificatorio, ovvero concorrano pro-quota alla formazione del volume edificabile, a condizione che i relativi proprietari (riuniti in consorzio) stipulino con il Comune una Convenzione avente ad oggetto:
- la cessione gratuita delle aree con destinazione pubblica;
- l’assunzione degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione ed al costo di costruzione;
- la disciplina dell’attuazione degli interventi edilizi all’interno delle aree fondiarie previste per l’accorpamento dei volumi.
L’istituto del comparto edificatorio è previsto dall’art. 870 c.c. (il quale, fra l’altro, dispone che “gli aventi diritto sugli immobili compresi nel comparto devono regolare i loro reciproci rapporti in modo da rendere possibile l’attuazione”), dall’art. 23 l. n. 1150/42 (cd. l. Urbanistica) e – a livello regionale – dagli artt. 22 e 23 l. reg. Lazio n. 35/78.
Ai sensi dell’art. 23 l. n. 1150 cit. (abrogato, limitatamente alle norme riguardanti l’espropriazione, dall’art. 58, co. 1 n. 62, d.p.r. n. 327/01 e ss. modifiche a decorrere dal 30.6.2003) qualora i proprietari non raggiungano l’accordo per la citata cessione gratuita, l’edificazione prevista è subordinata alla costituzione di un Consorzio dei proprietari (per costituire il quale basterà il concorso dei proprietari rappresentati i ¾ del valore dell’intero comprensorio sulla base dell’imponibile catastale) che conseguirà la piena disponibilità del comprensorio mediante l’espropriazione delle aree e degli eventuali manufatti nei confronti dei proprietari non aderenti. Ove non vi provveda il Consorzio, l’espropriazione sarà attuata direttamente dal Comune che potrà estenderla a tutte le aree ricadenti nel comprensorio o solo a quelle dei proprietari non aderenti.
Si segnala che entrambe le norme menzionate (statale e regionale) prevedono la fissazione di un termine entro il quale i proprietari delle aree interessate dal comparto devono comunicare al Comune se intendono procedere da soli all’attuazione, ovvero – in caso di dissensi da parte di alcuni – tramite la costituzione di un Consorzio. Decorso inutilmente il termine, il Comune procede all’esproprio.
Come rilevato dalla giurisprudenza, il predetto istituto – ancorché di risalente previsione – è stato oggi rivalutato in quanto espressione di una tecnica di pianificazione ispirata al principio della c.d. perequazione urbanistica, in base alla quale proprietà inserite in un determinato ambito di intervento vengono investite contemporaneamente del beneficio dell’edificabilità e del peso di contribuire all’elevazione della qualità urbana generale del territorio (v. T.A.R. Lazio, I, 23.5.2007 n. 5918; nello stesso senso, fra le altre, v. T.A.R. Puglia – Lecce, 7.3.2007 n. 1385; id., Bari, 20.5.2005 n. 2410; T.A.R. Lombardia – Brescia, 20 ottobre 2005, n. 1043) ed in tal modo si contempera quindi l’interesse pubblico alla corretta pianificazione con quello privato a subire il minor sacrificio possibile delle ragioni proprietarie (v. T.A.R. Puglia – Lecce, 8.3.2007 n. 957). Pertanto tale tecnica, che “ha un fondamento tipicamente consensuale”, consente di evitare sperequazioni indotte dalla pianificazione e fa si che ogni intervento risulti effettivamente preceduto e compensato dal reperimento di aree aventi destinazione pubblica (v. T.A.R. Campania – Salerno, I, 5.7.2002 n. 670).
Essendo il procedimento di attuazione del comparto volto a soddisfare un interesse pubblico (alla corretta pianificazione), “l’autorità comunale viene dotata di ampi poteri autoritativi, …, tanto che le posizioni dei singoli proprietari, rispetto alle deliberazioni adottate dagli organi municipali nelle suddette materie, hanno natura di interessi legittimi” (Cons. Stato, IV, 5.3.2010 n. 1271).
(Luglio 2010)
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