La registrazione del contratto di locazione nella recente legislazione

Le questioni relative alla registrazione del contratto di locazione ed agli effetti che la sua eventuale mancanza produce sulla validità del contratto ovvero alla difformità fra il testo registrato e le condizioni effettivamente applicate fra le parti sono state oggetto di vari interventi legislativi nel corso degli ultimi decenni.

In particolare, a partire dall’approvazione della nuova legge in materia di contratti di locazione ad uso abitativo (l. n. 431/98)[1], il Legislatore comincia ad interessarsi alla questione della difformità fra testo registrato e condizioni effettivamente applicate allo scopo dichiarato di introdurre misure volte a combattere il fenomeno dell’evasione fiscale, particolarmente presente nel settore (v. relazione di accompagnamento).

L’articolo 13, nella formulazione in vigore dal 30.12.1998 al 31.12.2015, prevede infatti:

  • la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un canone superiore a quello risultante dal contratto registrato (co. 1);

e, più in generale, la nullità di ogni pattuizione:

  • contraria alla legge in materia di limiti di durata del contratto;
  • volta a garantire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito (per i contratti cd. a canone libero);
  • volta a garantire al locatore un canone superiore a quello derivante dagli accordi locali in base alla specifica tipologia di appartamento (per i contratti cd. convenzionati).

In ogni caso, al conduttore è consentito avviare, entro 6 mesi dal rilascio dell’immobile, un’azione volta ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate.

La norma, sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale[2], ne ha superato indenne l’esame.

Nel 2004, con l’art. 1 co. 346 l. n. 311/2004, il Legislatore interviene in modo ancora più esplicito prevedendo che «i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati».

La sanzione della nullità, pertanto, non più limitata a singole clausole colpisce l’intero contratto non registrato e si applica a tutti i contratti di locazione (ad uso abitativo e non).

La disposizione è contenuta nella “legge finanziaria del 2005” a sancire il chiaro intento legislativo: garantire all’Erario il pagamento dell’imposta di registro, prima, e dell’imposta sui redditi, dopo.

Proprio in ragione dell’interesse perseguito (di natura prettamente fiscale), la disposizione ha favorito il proliferare di una copiosa giurisprudenza volta, invece, ad interpretare la sanzione introdotta sotto il profilo più strettamente civilistico degli effetti prodotti sul rapporto fra le parti.

Il dibattito ha interessato, principalmente, il profilo della qualificazione della nullità, ritenuta da alcune pronunce assoluta e, quindi, insanabile (fra le tante, Trib. Roma 20.10.2010, n. 20529; Trib. Torino, 27.1.2010), da altre relativa e, quindi, sanabile con la registrazione successiva (Trib. Lecce, 8.1.2014). Si segnala peraltro un ulteriore filone che ha imposto la questione in termini di inefficacia, nonostante l’espressione utilizzata nel testo legislativo in esame (fra le altre, Trib. Roma, 6.7.2012).

La successiva evoluzione normativa ha portato ad un progressivo irrigidimento dell’obbligo di registrazione del contratto di locazione e ad un aggravamento delle sanzioni specificamente previste, da ultimo con il d.lgs. n. 23/2011[3].

Nel provvedimento in esame la finalità di contrastare l’evasione fiscale nel settore delle locazioni è ancora più evidente e viene perseguito attraverso le seguenti previsioni.

I contratti di locazione non registrati entro il termine stabilito dalla legge (30 gg. dalla relativa stipula)[4] vengono assoggettati alla seguente disciplina:

  • la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d’ufficio;
  • al rinnovo si applica la disciplina di cui all’articolo 2 co. 1 l. n. 431/98 (ovvero, rinnovo obbligatorio dopo i primi quattro anni, fatta salva la ricorrenza di esigenze specifiche ivi espressamente indicate);
  • a decorrere dalla registrazione, il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75% dell’aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti (co. 8).

La predetta disciplina si applica anche ai contratti registrati:

  • per un importo inferiore a quello effettivo;
  • quali comodato d’uso e, quindi, fittiziamente gratuiti (co. 9).

La Corte costituzionale, però, con sentenza 10-14 marzo 2014, n. 50[5], ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni suindicate per eccesso di delega, trattandosi di disposizioni chiaramente distoniche rispetto alle finalità del testo (disciplinante, come detto, il federalismo fiscale).

Il Legislatore è intervenuto, quindi, a sanare gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi delle citate disposizioni, dichiarate costituzionalmente illegittime, dichiarandoli “salvi” fino alla data del 31.12.2015[6].

Nelle more, la questione è stata, poi, affrontata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con le due note pronunce n. 18213/2015 e n. 18214/2015, hanno, rispettivamente, sancito quanto segue.

    a) Secondo quanto statuito dalla prima, la nullità della pattuizione che preveda un canone superiore a quello risultante dal contratto registrato, prevista dall’art. 13 l. n. 431 cit., non è successivamente sanabile mediante registrazione postuma della relativa “controdichiarazione”.

Quanto sopra, ad avviso della Corte, risponde a ragioni di tipo:

  • letterale, considerata l’esplicita sanzione della nullità prevista dalla norma in caso di previsione di un canone diverso da quello registrato;
  • logico, per la duplice funzione della disposizione in esame che, per un verso, è chiaramente quella di eludere l’evasione fiscale, dall’altro però è, al contempo, quella di tutelare la parte contrattualmente più debole al momento della stipula del contratto;
  • etico/costituzionale, avendo ritenuto, inaccettabile che dinanzi ad una “Corte suprema di un Paese Europeo, una parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente ed impunemente la propria qualità di evasore fiscale”.

     b) La seconda, invece, si occupa dei contratti di locazione cd. “di fatto”, ovvero stipulati verbalmente, in violazione dell’espresso obbligo di forma scritta previsto dall’art. 1 co. 4 l. n. 431/98.

Per gli stessi, il Giudice accertate le seguenti condizioni:

  • esistenza del contratto di locazione stipulato verbalmente;
  • imposizione di tale forma da parte del locatore al conduttore che è stato, qunidi, costretto a subirla,

in deroga ai principi generali di insanabilità del contratto nullo, consente al conduttore di ottenere la sanatoria del contratto medesimo con l’applicazione del canone previsto per i contratti cd. “convenzionati” di cui all’art. 2 co. 3 l. n. 431/98. Ne deriva il diritto del conduttore alla restituzione di quanto pagato in eccedenza (v. art. 13 co. 5 l. n. 431/98).

 

Infine, sull’argomento è intervenuto l’art. 1 co. 59 l. n. 208/2015 (cd. legge di stabilità 2016), che, modificando il testo dell’art. 13 co. 1 l. n. 431 cit., ha previsto in aggiunta a quanto ivi già espressamente disciplinato:

  • l’onere del locatore di provvedere alla registrazione del contratto di locazione entro 30 gg. dalla sua sottoscrizione (v. co. 1);
  • l’onere di darne comunicazione al conduttore ed all’Amministratore condominiale, entro i successivi 60 gg. (v. co. 1);
  • la possibilità per il conduttore, qualora il locatore non provveda alla registrazione del contratto nel predetto termine, di adire il Giudice per ottenere l’accertamento del contratto e la determinazione del relativo canone (che non potrà eccedere quello del valore minimo di cui all’art. 2 ovvero definito ai sensi dell’art. 5 co. 2 e 3 “nel caso di conduttore che abiti stabilmente l’alloggio per i motivi ivi regolati”; v. co. 6); le disposizioni previste dal co. 6 “devono ritenersi applicabili a tutte le ipotesi ivi previste insorte sin dall’entrata in vigore della presente legge” (v. co. 7).

Una specifica disposizione è, infine, contenuta nel co. 5 per i conduttori che abbiano versato il canone in conformità a quanto previsto dai co. 8 e 9 dell’art. 3 d.lgs. n. 23/11 (v. sopra), per gli stessi infatti “l’importo del canone di locazione dovuto …, su base annua, è pari al triplo della rendita catastale dell’immobile, nel periodo considerato”.

 

[1] La l. n. 431/98 ha sostituito – per i contratti di locazione ad uso abitativo – le disposizioni contenute nella famosa l. n. 392/78, nota come legge “sull’equo canone”; detta legge non si applica, però, ad alcune tipologie di immobili espressamente indicate dall’art. 1 (ad esempio, immobili gravati da vincolo storico-archeologico; immobili di pregio aventi categoria catastale A/1, edilizia residenziale pubblica, etc. ….).

[2] V. ord. Corte Costituzionale n. 242/04.

[3] V. art. 3 co. 8 e 9 d.lgs. n. 23/2011 (recante “Disposizioni in materia di federalismo fiscale Municipale”).

[4] V. art. 13 d.p.r. n. 131/86 (recante disposizioni in materia di Imposta di registro) come interpretata dall’art. 68 della Circolare Ministero delle Finanze n. 207/E del 16/11/2000.

[5] In Gazz. Uff. 19.3.2014, n. 13 – Prima serie speciale.

[6] V. art. 5, co. 1 ter, d.l. n. 47/14 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 80/14).

(Marzo 2016)

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